Democratizzare la democrazia attraverso i Contratti di Fiume

Indubbiamente i Contratti di Fiume hanno in sé l’attitudine a rappresentare una sorta di esperienza – laboratorio sul piano della situazione locale della WFD (il cui XIII Considerando fa espresso riferimento al principio di prossimità e precisa impegnativamente che “le decisioni dovrebbero essere adottate a livello più vicino possibile ai luoghi di utilizzo effettivo e di degrado delle acque”). Accanto al profilo dell’integrazione tra politiche di matrice diversa assume infatti un rilievo costitutivo (l’in del Contratto di Fiume) la partecipazione attiva dei soggetti coinvolti dalle iniziative attivabili. I Contratti di Fiume si iscrivono conseguentemente a pieno titolo nella schiera delle figure che danno corpo al fenomeno etichettabile come democrazia partecipativa, entro cui rappresentano una delle rarissime esperienze in cui la spinta del capitale comunitario non si esaurisce in chiave partecipativa nella mera rappresentazione di una posizione.

Il Contratto di Fiume, a differenza di molteplici dispositivi che aspirano ad una democratizzazione della funzione amministrativa a partire dal rafforzamento del profilo partecipativo, riesce quindi a configurare un modello di governo delle acque, in cui la condivisione, che costituisce l’ipostasi della partecipazione diretta, sfocia in una autentica co – amministrazione, in cui si rinvengono taluni tratti di quell’approdo che Feliciano Benvenuti definiva felicemente “demarchia”.

Sul piano partecipativo non va certo trascurato che, attraverso il Contatto di Fiume, si garantisce voce alle comunità e a soggetti che sarebbero altrimenti esclusi da un circuito per tradizione aperto unicamente alla rappresentanza degli interessi economici (si pensi solo ai procedimenti concessori), ma l’elemento sicuramente più rimarchevole – su cui è opportuno lasciar cadere l’accento – è sicuramente costituito dal pieno riconoscimento del Contratto come possibile cornice dell’ascrizione alla sfera decisoria anche di soggetti non istituzionali e perciò come strumento di co – amministrazione.

L’ascrizione delle comunità entro il circuito deliberativo – attuativo postula quindi, in conclusione, il mutamento delle politiche idriche che, a questo livello, da pubbliche in senso soggettivo si fanno propriamente comunitarie (in parallelo con quanto già accennato circa la natura di bene comune, e non pubblico in senso tradizionalmente soggettivo, delle acque).

 

Da Le politiche idriche nella stagione della scarsità di Emanuele Boscolo

Professore ordinario diritto amministrativo Dipartimento di Diritto, Economia e Culture dell’Università degli Studi dell’Insubria